Un pensiero per l’architettura italiana

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in Lotus International n. 151 , 2012

Chi enumera gli avvenimenti senza distinguere i piccoli e i grandi, tiene conto della verità che nulla di quanto si è verificato va dato perduto per la storia, e questo vale soprattutto a favore delle cose piccole. Guardare da vicino non è vedere in piccolo, può essere necessario per non farsi sfuggire le cose, soprattutto in Italia dove c’è una determinata scala del paesaggio. I modi di fare, le strutture economiche e produttive, l’organizzazione civile e insediativa con la forma comunale ancora al centro concorrono a determinare la scala di questo paesaggio. Ciò induce a pensare chei fallimenti dei grandi interventi architettonici e urbanistici non siano casuali. Ugualmente la difficoltà di dare configurazione a grandi imprese produttive non sembra un ostacolo irrimediabile allo sviluppo del nostro paese e neppure un impedimento a pensare in grande o a sviluppare qualche importante idea architettonica. Probabilmente è difficile immaginare di salvare il mondo con dei microbi, sperare nei microrganismi che divorano le sostanze inquinanti come profetizza il biologo Craig Venter, il quale vorrebbe risolvere i problemi del pianeta manipolando minuscole forme di vita, e tuttavia vale la pena di valutare l’apporto della cultura italiana a un approccio che potremmo definire molecolare all’architettura. Guardare da vicino, come particolare modalità conoscitiva, è anche un guardare ai dettagli. Si può parlare in questo caso dell’adozione di un “paradigma indiziario” in quanto significa riflettere su una modalità conoscitiva e interpretativa che a partire da dettagli, dati marginali, indizi rivelatori permette alla ragione di conquistare una nuova leggibilità di una situazione. Il detto “Dio è nei dettagli” esprime l’idea che qualsiasi cosa uno faccia deve farla in maniera accurata, vale a dire senza tralasciare i dettagli che sono importanti. Ossia il valore, la bellezza, la positività ecc. si scoprirebbero solo o soprattutto nei dettagli delle cose. Un’altra obiezione al tentativo di indagare anche in zone trascurate sostiene che nel percorrere i margini andando per vie traverse o anche volendo prendere in esame certe inezie non si troverebbe granché. Si potrebbe controbattere a questa posizione di un nichilismo radicale dicendo che, come in filosofia, al posto di nulla “c’è qualcosa”. Una verifica di questo genere sull’architettura italiana come stiamo tentando di fare in questo fascicolo di “Lotus” dovrà valutare effettivamente se, nella progressiva scoperta del quadro di un’immagine, la percezione maturata passo dopo passo manifesti un riferimento tangibile. Vedere davvero, toccare davvero sarebbe un’esperienza di riconoscimento, e pertanto di riconoscenza per una situazione capace di restituire alla più piccola presenza reale, a ogni piccolo fatto, il suo autentico valore di apparizione. Per gli italiani, sin dai tempi di Edoardo Persico, questo vedere è legato alla fede suscitata da un intenso bisogno, ed è un modo di fornire prove indiziarie a uno sguardo passionalmente interessato alla causa dell’architettura. Anche il nostro accertamento cerca l’apertura di uno spazio per un genere di realismo che vede le cose con occhi carichi di stupore, attenti a rintracciare la pur debole energia messianica di cui ogni generazione è dotata. Questa luce messianica non permette l’assestamento in se stessa della storia che ci è dato di vivere, ma introduce in essa una sofferenza interna, un’impazienza che fa aspettare un’altra storia. Infine queste visioni particolari, reperite attraverso un’indagine attenta anche alle minime variazioni, non si limitano all’esposizione di tutte le permutazioni possibili di un dato materiale linguistico proveniente dal sistema globale della comunicazione ma registrano gli effetti particolari di queste provenienze in delle coscienze dotate di una particolare sensibilità. In alcune di queste permutazioni l’affiorare improvviso di una determinata condizione ambientale e culturale, l’emergere di una vocazione a dar forma alle cose, la spinta verso un inevitabile processo di redenzione, fa intravedere, embrionalmente, il nuovo. Oltre al modo peculiare da parte di una nuova generazione di porsi nel network geografico delle relazioni globali, anche la famosa e quasi costrittiva relazione della cultura italiana con la storia prende una nuova coloritura segnata dal senso del pericolo. Come nelle tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin (1940) «articolare storicamente il passato non significa conoscerlo “come propriamente è stato”, significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante di un pericolo».